IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile n. 3353/2001 r.g. promossa da: Fondosviluppo S.p.A. attrice, con avv. G. Gagliardi; contro Veneto Banca s.c.a.r.l. convenuta, con l'avv. Barel e Malvestito. Oggetto: pagamento somma. Conclusioni Per l'attrice: Piaccia al Tribunale ill.mo, contrariis reiectis: «condannare la Veneto Banca, gia' Banca Popolare di Asolo e Montebelluna s.c.p.a.r.l., a pagare la somma di € 27.888.672, pari a L. 54.000.000.000, oltre interessi fino al soddisfo, relativa al patrimonio della Banca di Credito Cooperativo del Piave e Livenza, incorporata con atto di fusione del 30 giugno 1999, a Fondosviluppo S.p.a., quale soggetto destinatario del patrimonio delle cooperative fruenti dei benefici fiscali e quale aderente alla Confcooperative. Vittoria di spese, competenze ed onorari. Per la convenuta: In via preliminare: dichiararsi la carenza di legittimazione attiva di Fondosviluppo per i motivi esposti nella memoria ex art. 180 c.p.c. del 21 febbraio 2002. Ancora in via preliminare: ove il Tribunale non ritenga di poter operare un'interpretazione costituzionalmente adeguata dell'art. 17 della legge n. 388/2000, voglia rimettere gli atti - previa sospensione del presente giudizio - alla Corte costituzionale per la declaratoria di incostituzionalita', per violazione degli artt. 101 102 e 104 della Costituzione, dell'art. 17 della legge n. 388/2000 di interpretazione autentica - per auto qualificazione - -delle disposizioni di cui all'art. 26 del d.lgs. del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, ratificato con modificazioni dalla legge 2 aprile 1951, n. 302, di cui all'art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 201 e di cui all'art 11, comma 5, della legge 31 gennaio 1992, n. 59. Nel merito: respingersi le domande attoree siccome infondate in fatto ed in diritto per i motivi esposti negli atti depositati. In via istruttoria: si chiede che sia ammessa prova per testi sui seguenti capitoli: 1) «Vero che nel momento in cui e' stata redatta la perizia sulla congruita' dei valori di concambio tra le azioni Veneto Banca non erano note controversie sull'interpretazione dell'art. 11 della legge n. 59/1992?»; 2) «Vero che la Federazione Veneta delle Banche di Credito Cooperativo assunse varie iniziative per impedire la fusione della Banca di Credito Cooperativo del Piave e del Livenza in Veneto Banca ma mai adombro' in alcuna sede l'eventualita' che fossero stati determinati scorrettamente i rapporti di concambio per non essersi tenuto conto del fatto che vi sarebbe dovuta essere una devoluzione di 54 miliardi di lire in favore del Fondo Sviluppo o comunque di una delle istituzioni destinatarie dei patrimoni delle cooperative liquidate ex art. 11 della legge n. 59/1992?»; 3) «Vero che la BCC del Piave e del Livenza non possedeva al 31 luglio 1999 ed al 31 dicembre 1999 i requisiti patrimoniali minimi dettati dalla disciplina di vigilanza per l'esercizio dell'attivita' bancaria?»; 4) «Vero che la Federazione Veneta della Banche di Credito Cooperativo fu incaricata, fin dai primi giorni del giugno 1999, di assistere la BCC del Piave e del Livenza per individuare una via che consentisse alla BCC di reperire i mezzi finanziari per proseguire l'attivita' coprendo le perdite provocate dalle illecite condotte della signora Maria Teresa Favero o, comunque, fosse individuata una prospettiva di fusione con altra banca di credito cooperativo?»; 5) «Vero che la Federazione Veneta della BCC in esecuzione del mandato ricevuto e come descritto al capitolo che precede non formulo' alcuna proposta eseguibile in ragione della quale la BCC del Piave e del Livenza potesse ritornare a disporre di un patrimonio sufficiente a rispettare i coefficienti di vigilanza o comunque potesse fondersi con altra BCC che fosse disponibile a farlo mantenendo dopo la fusione una capacita' patrimoniale sufficiente al rispetto dei coefficienti di vigilanza?»; 6) «Vero che nel periodo immediatamente precedente ai primi contatti con la Banca Popolare erano state pubblicate sulla stampa locale notizie che ponevano in dubbio la capacita' della BCC del Piave e del Livenza a far fronte ai propri impegni e comunque indicavano in 50 mld di lire le perdite presunte che sarebbero gravate sulla BCC per effetto delle illecite condotte della signora Favero?»; 7) «Vero che dalle filiali della BCC era stato comunicato alla direzione generale nel mese di luglio 1999 che presso altri istituti di credito era stato rifiutato il cambio di assegni della BCC del Piave e del Livenza adducendo a ragione la possibile insolvenza della stessa BCC?»; 8) «Vero che fu sollecitato piu' volte l'intervento delle strutture associative nazionali delle banche di credito cooperativo senza ottenere quale risposta altro che la promessa che il dottor Caleffi, direttore generale di Federcasse, avrebbe potuto incontrare i vertici della BCC del Piave e del Livenza nei primi giorni del mese di agosto del 1999 in occasione di una sua venuta a Verona per assistere ad una manifestazione musicale?»; 9) «Vero che la BCC del Piave e del Livenza aveva poco meno di tremila soci cooperatori che intrattenevano, come da previsione statutaria, regolari rapporti bancari con la BCC e che tali rapporti costituivano oltre il 25% dei rapporti passivi intrattenuti dalla BCC ed oltre il 50% di quelli attivi?». Si indicano a testi su tutti i capitoli: il dottor Dino Biasotto, esperto nominato dal Tribunale per la determinazione dei rapporti di concambio nella fusione tra Banca Popolare Asolo e Montebelluna e Veneto Banca; i dottori Giampaolo Buldini, Emesto Serraglia ed Enzo Paro all'epoca dei fatti sindaci della BCC del Piave e del Livenza; il dottor C. De Gioia Carabellese all'epoca dei fatti direttore della succursale di Treviso della Banca d'ltalia; il cav. Ireneo Miotto ed il sig. Lucio De Rocco, all'epoca dei fatti rispettivamente Presidente e Direttore Generale della BCC del Piave e del Livenza; il dottor Amedeo Piva ed il rag. Rodolfo Spada, all'epoca dei fatti rispettivamente Presidente e Direttore della Federazione Veneta della Banca di Credito Cooperativo; il rag. Vincenzo Consoli, all'epoca dei fatti direttore generale della Banca Popolare Asolo e Montebelluna; il dottor Fanio Fanti, Bruno Sonego e Fulvio Zanatta, all'epoca dei fatti sindaci della Banca Popolare di Asolo e Montebelluna. Veneto Banca ribadisce l'opposizione alle istanze avversarie nonche' all'acquisizione del documento depositato all'udienza del 17 maggio 2005 e dichiara di non accettare il contraddittorio su eventuali nuove domande. In ogni caso: con vittoria di spese, diritti e onorari. Fatto e svolgimento del processo Con atto di citazione in data 24 aprile 2001, Fondosviluppo S.p.A. citava avanti l'intestato Tribunale la Veneto Banca s.c.p.a.r.l., gia' banca Popolare di Asola e Montebelluna, per sentirla condannare al pagamento della somma di € 27.888.672, pari a L. 54.000.000.000, oltre interessi, relativa al patrimonio della Banca di Credito Cooperativo del Piave e Livenza, incorporata con atto di fusione del 30 giugno 1999, ad essa attrice, quale soggetto destinatario del patrimonio delle cooperative fruenti dei benefici fiscali e quale aderente alla Confcooperative. Premetteva l'attrice, in sintesi, a sostegno della richiesta, che: il Fondosviluppo e' il fondo delle Confcooperative ai sensi dell'art. 11, comma 1 della legge n. 59/1992 ed e' societa' costituita dalla Confederazione Cooperative Italiane e dalla Federazione Italiana delle Banche di Credito Cooperativo; la legge n. 59/1992 all'art. 11, comma 1, stabilisce che «Le associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo, riconosciute ai sensi dell'art. 5 del citato decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577 e successive modificazioni, e quelle riconosciute in base a leggi emanate da regioni a statuto speciale possono costituire fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione. I fondi possono essere gestiti senza scopo di lucro da societa' per azioni o da associazioni.»; la citata legge n. 59/1992 all'art. 11, comma 5 prevede altresi' che «Deve ... essere devoluto ai fondi di cui al comma 1 il patrimonio residuo delle cooperative in liquidazione, dedotti il capitale versato e rivalutato ed i dividendi eventualmente maturati, di cui al primo comma, lettera c), dell'art. 26 del citato decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577 e successive modificazioni.»; il disposto dell'art. 11, comma 5, della citata legge n. 59/1992 riportato al punto che precede e' stato recepito nello statuto della BCC Piave e Livenza all'art. 50 nella seguente formulazione: «In caso di scioglimento della Societa', la somma che risulti disponibile alla fine della liquidazione, dopo il pagamento di tutte le passivita', sara' devoluta -- dedotti soltanto il capitale versato e rivalutato, e i dividendi eventualmente maturati -- ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, con le modalita' previste dalla legge.»; in data 30 ottobre 1999 e 6 novembre 1999 le Assemblee Straordinarie rispettivamente di BCC Piave e Livenza e Veneto Banca (gia' Banca Popolare di Asola e Montebelluna S.c.a.r.l.) hanno deliberato la fusione per incorporazione di BCC Piave e Livenza in Veneto Banca, previa autorizzazione rilasciata da Banca d'italia ai sensi dell'art. 57 d.lgs. n. 385/1993 in data 13 agosto 1999; la legge n. 388/2000, pubblicata in data 29 dicembre 2000 nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 302, prevede all'art. 17 che: «Le disposizioni di cui all'art. 26 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, ratificato, con modificazioni dalla legge 2 aprile 1951, n. 302, all'art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, e all'art. 11, comma 5, della legge 31 gennaio 1992, n. 59, si interpretano nel senso che la soppressione da parte di societa' cooperative o loro consorzi delle clausole di cui al predetto articolo 26 comporta comunque per le stesse l'obbligo di devolvere il patrimonio effettivo in essere alla data della soppressione, dedotti il capitale versato e rivalutato ed i dividendi eventualmente maturati ai fondi mutualistici di cui al citato art. 11, comma 5. Allo stesso obbligo si intendono soggette le stesse societa' cooperative e loro consorzi nei casi di fusione e di trasformazione, ove non vietati dalla normativa vigente, in enti diversi dalle cooperative per le quali vigono le clausole di cui al citato art. 26, nonche' in caso di decadenza dai benefici fiscali.». Si costituiva regolarmente in giudizio Veneto Banca contestando nel merito tutte le domande avanzate dall'attrice, chiedendone il rigetto, e formulando una serie di eccezioni preliminari, cosi' come riportate in premessa, relative in particolare alla legittimazione attiva di Fondosviluppo e alla illegittimita' costituzionale della legge n. 388/2000. All'esito della prima udienza del 20 settembre 2001 il g.i. fissava udienza di trattazione al 21 marzo 2002, concedendo alle parti i termini di legge per le memorie ex art. 180 c.p.c. In seguito, il giudice rinviava il procedimento all'udienza del 21 novembre 2002, concedendo alle parti i termini di legge per le memorie ex art. 183, quinto comma, c.p.c. e poi rinviava alla successiva udienza del 29 aprile 2003, concedendo i termini per il deposito delle memorie istruttorie. Con ordinanza riservata del 13 giugno 2003 il g.i., riservata ogni decisione sulle ulteriori richieste istruttorie delle parti, disponeva C.T.U., riservandosi la formulazione del quesito, nominando perito il prof. Santesso Erasmo dell'Universita' di Treviso. Alla successiva udienza del 20 novembre 2003 il c.t.u. incaricato non compariva; pertanto il g.i. disponeva la sua sostituzione con il prof. Fabio Buttignon di Padova, rinviando per il conferimento dell'incarico all'udienza del 6 maggio 2004. A tale udienza veniva formulato al c.t.u. il quesito e il g.i. rinviava all'udienza del 10 marzo 2005 per l'esame dell'elaborato; veniva poi disposto ulteriore rinvio al 17 maggio 2005 non essendo stata depositata la perizia nel termine stabilito. A tale udienza, avanti il nuovo g.i. designato, parte attrice chiedeva la fissazione dell'udienza di precisazione delle conclusioni, mentre parte convenuta chiedeva termine per esame delle deduzioni di controparte alla c.t.u. e la convocazione a chiarimenti del perito. Il g.i., con ordinanza riservata del 20 maggio 2005, disponeva la convocazione del c.t.u. a chiarimenti, con eventuale presenza dei c.t. di parte e rinviava all'uopo all'udienza del 22 settembre 2005. All'esito ditale udienza il g.i. assegnava al c.t.u. ulteriore termine di giorni sessanta per l'integrazione della perizia, in risposta alle valutazioni espresse dai c.t.p., rinviando all'udienza del 13 dicembre 2005. Con successiva ordinanza riservata del 16 dicembre 2005, il g.i., ritenuta la causa matura per la decisione, vertendo questa prevalentemente su questioni di diritto e ritenendo esaustiva la disposta c.t.u., fissava udienza di precisazione delle conclusioni al 21 dicembre 2006. A tale udienza, le parti precisavano le conclusioni cosi' come in epigrafe e il g.i. tratteneva la causa in decisione, assegnando i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionale e memorie di replica. La causa passa ora in decisione. Motivi della decisione E' opportuno e necessario affrontare preliminarmente le eccezioni sollevate dalla convenuta, con particolare riferimento alla avanzata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17 della legge n. 388/2000 (legge Finanziaria 2001), che, ove ritenuta non manifestamente infondata, comporterebbe giocoforza la sospensione del procedimento. Veneto Banca ha, in sintesi, sostenuto che: «... Una tale norma ha un'evidente portata innovatrice rispetto al testo originario dell'art. 11 della legge n. 59/1992 ed in particolare del comma 5. Infatti essa: a) allarga la fattispecie di cui al comma 5 anche alle ipotesi di fusione e di trasformazione che, per quanto si e' detto, erano fino a quel momento escluse; b) menziona il patrimonio effettivo nel mentre prima esso si riferiva al patrimonio residuo...». Riteneva dunque che, poiche' l'operazione di fusione tra BCC e Veneto Banca (per la quale vi era la richiesta dell'attrice di devoluzione dell'intero patrimonio effettivo della banca incorporata in essere alla data della soppressione) era intervenuta e si era conclusa ben prima della emanazione della legge n. 388/2000, tale legge non poteva applicarsi al caso di specie, in quanto: «... a) o si opera un'interpretazione costituzionalmente adeguata dell'art. 17 della legge n. 388/2000 e conseguentemente si ritiene che, a dispetto della volonta' espressa dal legislatore di compiere un'interpretazione autentica di una norma gia' in vigore, la novita' introdotta non possa disporre che per il futuro e quindi sia inapplicabile al caso che ci occupa se non altro in ragione del fatto che tutti gli effetti della fusione tra le due banche si sono gia' completamente esauriti; b) o non puo' non rilevarsi l'evidente illegittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 101, 102 e 104 Cost., dell'art. 17 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, di interpretazione autentica -- per auto qualificazione -- delle disposizioni di cui all'art. 26 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, ratificato, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 1951, n. 302, all'art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, e all'art. 11, comma 5, della legge 31 gennaio 1992, n. 59...». La questione non e' manifestamente infondata. Il punto focale della questione sta, in sostanza, nella autoqualificazione, operata dall'art. 17 suddetto, quale norma di interpretazione autentica di un'altra norma precedente, allo scopo di attribuirsi efficacia retroattiva. Come e' noto, per costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, cosi' come delle corti di merito, «Il divieto di retroattivita' della legge, pur costituendo fondamentale valore di civilta' giuridica e principio generale dell'ordinamento cui il legislatore si deve attenere, non e' elevato a dignita' costituzionale, salvo che per la legge penale; pertanto, nelle altre materie, ben possono essere emanate leggi retroattive interpretative».Cons. Stato n. 7516/2003. Tuttavia, la stessa Corte costituzionale ha chiarito piu' volte, come opportunamente evidenziato da parte convenuta, che: «La legge di interpretazione autentica deve rispondere dalla funzione che le e' propria: quella di chiarire il senso di norme preesistenti, ovvero di imporre una delle possibili varianti di senso compatibili col tenore letterale, sia al fine di eliminare eventuali incertezze interpretative, sia per rimediare ad interpretazioni giurisprudenziali divergenti»; Corte cost. n. 311/1995. e ancora: «Pur dovendosi ammettere la facolta' del legislatore di emanare leggi interpretative con la connaturale portata retroattiva, non e' sufficiente, a tali fini, la sola autoqualificazione, ma si richiede, per attribuire il carattere di norma di interpretazione autentica, che la previsione sia diretta a chiarire il senso di disposizioni preesistenti ovvero ad escludere o ad enucleare uno dei significati fra quelli ragionevolmente ascrivibili alle statuizioni interpretate, occorrendo comunque che la scelta assunta dal precetto interpretativo rientri tra le varianti di senso compatibili con il tenore letterale del testo interpretato». Corte cost. n. 386/1996. Ora, e' piuttosto evidente che, ove il tenore letterale della norma «interpretata», o presuntivamente da interpretare, sia gia' di per se' chiaro ed indiscutibile e ove questo, proprio per la sua chiarezza, prima di allora non abbia sollevato numerosi ed evidenti (o addirittura nessuno) contrasti giurisprudenziali da dirimere, l'emanazione di una legge autodefinentesi interpretativa svela il chiaro intento del legislatore non gia' (come e' chiaramente in suo potere) di regolare in maniera diversa -- ma solo per il futuro -- una materia fino al quel momento regolata da altra legge, che vuole essere tacitamente o meno abrogata, ma di «... attribuire a norme innovative una surreffizia efficacia retroattiva, venendo (cosi) meno... la funzione peculiare di tali leggi, ossia quella di chiarire il senso di norme preesistenti ovvero di imporre una delle possibili varianti di senso compatibili con il tenore letterale».Corte cost. n. 376/1995. Una norma che opera in questo modo ed in questo ambito e' dunque indubitabilmente, per definizione della stessa Corte costituzionale, una norma incostituzionale. Altrettanto indubitabile e' dunque la constatazione che l'art. 17 della legge n. 388/2000 (Legge Finanziaria 2001) rientri in tale ipotesi, per due ordini di ragioni: a) Il tenore letterale dell'art. 11, comma 5, legge n. 59/1992, laddove prevede che: «Deve ... essere devoluto ai fondi di cui al comma 1 il patrimonio residuo delle cooperative in liquidazione, dedotti il capitale versato e rivalutato ed i dividendi eventualmente maturati di cui al primo comma, lettera c), dell'art. 26 del citato decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577 e successive modificazioni.», non puo' in alcun modo porre dubbi circa il fatto che la norma non volesse intendere ricompresi nella previsione anche «...i casi di fusione e di trasformazione, ove non vietati dalla normativa vigente, in enti diversi dalle cooperative per le quali vigono le clausole di cui al citato articolo 26...»: una cosa, in senso strettamente tecnico-giuridico e' infatti la liquidazione di una societa', tutt'altra cosa e' la sua fusione con un'altra societa', tanto piu' che la nuova norma introduce anche il (nuovo) concetto di «patrimonio effettivo», anziche' solo quello (anche in questo caso chiarissimo) di «patrimonio residuo»; b) non risulta che, prima della emanazione dell'art. 17 legge n. 388/2000, si fossero verificati o segnalati dissensi giurisprudenziali interpretativi dell'art. 11, comma 5, legge n. 52/1992, nel senso prospettato in questa sede: le uniche due pronunce citate dall'attrice e che hanno stretta analogia (se non identita) con la presente causa (cfr. Sentenza Trib. Lanciano n. 363/2001 e Ord. Trib. Lecce n. 6911/2000 -- doc. 17 e 18 parte attrice), sono intervenute gia' nella vigenza della legge n. 388/2000 ed hanno ritenuto di dirimere la questione in senso diverso, semplicemente perche' hanno ritenuto pienamente legittima l'autoqualificazione di tale norma quale norma interpretativa con efficacia retroattiva, ma non entrando in alcun modo nel merito della questione circa la possibilita' di intendere la liquidazione (anche) come fusione. Nel caso di specie, pertanto, la norma in questione verrebbe ad incidere, in maniera retroattiva, su posizioni giuridiche gia' acquisite (la fusione tra BCC e Veneto Banca si e' completata, come detto, nel novernbre 1999) ed aventi ad oggetto questioni, prima della sua emanazione, mai passibili di contrasti giurisprudenziali, facendo sorgere il legittimo dubbio che la sua emanazione, proprio perche' adottata nella forma della «norma autodefinentesi interpretativa», anziche' come norma nuova, non volesse in realta' (solo) operare per il futuro o intervenire in una materia «contrastata», ma proprio intervenire su quelle posizioni giuridiche gia' acquisite: il che e' in contrasto con i dettami della Costituzione. Per tali motivi, deve ritenersi non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17 della legge n. 388/2000 di interpretazione autentica -- per auto qualificazione -- delle disposizioni di cui all'art. 26 del d.lgs. del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, ratificato con modificazioni dalla legge 2 aprile 1951, n. 302, di cui all'art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 201 e di cui all'art. 11, comma 5, della legge 31 gennaio 1992, n. 59, per violazione degli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione, laddove prevede e consente l'emanazione di leggi con efficacia retroattiva al di fuori dei limiti «... che attengono alla salvaguardia ... di fondamentali valori di civilta' giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, fra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza e di eguaglianza, la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto e il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario...».Corte cost. n. 282/2005.